Giuseppe Fava, ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984
“Qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare, per Dio! Tanto lo sai come finisce una volta o l’altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa!”
Giuseppe, Pippo per gli amici e i nemici, l’aveva detto a scaramanzia (perché quando parli di morire, di morire non hai pensiero). Era di novembre e dell’82… 1982. Catania, a mezza strada tra Messina e Siracusa, affacciava sul golfo, aggrappata all’Etna. Dalla collina di Monte Vergine si sentiva ancora odore di lava e di fiume. Il Simeto in contrada Primo Sole appigliato al mar Ionio poi ci scompariva. Con due rotative Roland di seconda mano prese a cambiali, e l’idea che il giornalismo non deve avere vigliacchi, ma bocche sante che parlano e mani coraggiose che scrivono, Giuseppe Fava nella Catania dei Santapaola se ne uscì (“Questo Puppo.. pronto ad adescare ragazzini fuori dalle scuole” dissero quando non poteva più rispondere), se ne uscì con “I Siciliani” rivista di cadenza mensile parlante di mafia e di Sicilia. Di mafia? Sissignori! E li prese giovani, coraggiosi e siciliani i collaboratori, e li slegò per la Sicilia a cercare storie scomode parlate sottovoce, a tirare fuori verità, a capire perché tutti sapevano e un poco voltava la fazza, e l’altri tanti si facevano i fatti propri. Catania si svegliò di vento di prima mattina, di fotografie di questori abbraccettati ai mafiosi e politici a vasare l’affiliati e l’americani di Comiso a difendere i missili. Nessuno s’era mai permesso di scriverne.
“Se questo continua a parlare come parla e a scrivere come scrive, è tutto finito” disse Benedetto detto Nitto nell’ 84… 1984. Erano passati mesi e si facevano i primi giorni di gennaio. Il cielo nell’Isola cambia da limpido a malinconico. Il mare prende schiuma di burrasca, a pioggia la sparpaglia sui moli e a largo, ancora e nonostante, le luci delle barche ci sono fin quasi all’Africa. Nitto Santapaola mandò due picciotti a sistemare le cose. Ci spararono cinque colpi alla testa, tutti alla nuca in segno di disprezzo. Mentre andava al teatro Verga dove la nipote aveva recitato Pirandello in “Pensaci Giacomino”. Erano le 21.30 del 5 gennaio 1984 in via dello Stadio su una Renault 5. Al funerale, in chiesa di Santa Maria della Guardia nessun ministro, tanti giovani, tanti operai. Giuseppe Fava, detto Pippo per amici e nemici, l’aveva detto… “Qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare, per Dio! Tanto lo sai come finisce una volta o l’altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa!”
Dopo la sua morte la redazione de I Siciliani riaprì e continuò a dire la verità.
2 commenti
Raoul
Non mollare e non chinare la testa.
Le malefatte dei malfattori di ieri sono un unico con le meschinità dei manutengoli di oggi. Ci vedranno sempre a contrastarli e non gli daremo quartiere.
Laura Marini
La verità è vero fa liberi !!! Mi rattrista il modo come è stato ucciso 5 colpi alla nuca come se volessero dire muori bastando !! Purtroppo sono loro che ogni giorno muoiono a qualche cosa; modi di pensare di dire di fare ! Per questo i mafiosi non saranno mai liberi . Buonaserata