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La Rivolta Di Figlie E Mogli Dei Boss

Non esiste nella mafia calabrese senso dell”individualità o libero arbitrio. Il fine è nutrire solo e sempre i valori della Santa. Qui sotto l’estratto di un reportage appassionato che racconta storie di donne che fanno tremare la ‘ndrangheta.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 11.07.2019 di Dina Lauricella

Il marito di A. era uno dei tanti predestinati della ‘ndrangheta. Il nonno era stato capocrimine, aveva infatti ottenuto, nella sua lunga carriera, i massimi gradi previsti dall’organizzazione criminale calabrese. Ancora minorenne, il marito di Alba ebbe modo di farsi notare, svolgendo con grande devozione e determinazione attività d’intimidazione, “recupero crediti” legati al pizzo e allo spaccio. Quando capi che la droga era l’attività piú redditizia, riuscì a conquistare una fetta di mercato non indifferente. Il suo giro, fra Australia, Germania e Italia, gli ha fatto guadagnare tanti soldi e tanto onore agli occhi dell’intera “Società”. Quando mensilmente arrivava il rifornimento, lo nascondeva per brevi periodi in un appartamento intestato ad Alba. È anche per questo che la signora A. è stata arrestata, però non sa quanti chili di stupefacenti muoveva il marito e neanche a quanto ammontava il fatturato
annuo. Il suo ruolo di donna, in una famiglia di ‘ndrangheta, è gradualmente cambiato con il tempo e con le esigenze della “famiglia”.

ORFANA DI MADRE sin da piccola, Alba è cresciuta con il padre, un contadino innamorato della sua terra e asservito alle logiche mafiose locali. Il fratello, di un paio d’anni piú grande, non ha mai voluto seguire le orme del padre, intenzionato sin da giovanissimo a fare il businessman. I soldi gli sono sempre piaciuti, macchinone, bella vita. Un tipo eccentrico: quandocominciòafarsi stradanel crimine, i vertici decisero che sarebbe stato meglio se si fosse trasferito altrove, meglio all’estero, dove avrebbe potuto curare i loro interessi e allo stesso tempo avrebbe evitato di mettersi in mostra in un ambiente nel quale si preferisce un profilo basso, proprio per evitare le attenzioni delle forze dell’ordine.

Da giovane sposina a mamma, a criminale, il passo di A. è stato brevissimo. L’intestazione di quell’appartamento nel quale il marito nascondeva la droga le sta costando un processo e Alba ritiene sia un prezzo troppo alto da pagare. Spiega che il tu tto è avvenuto senza il suo esplicito benestare, che certe decisioni ti cascano addosso senza avere la possibilità di dire la tua, e ribadisce la sua totale estraneità al traffico di stupefacenti. In sede d’interrogatorio le viene ricordato che in quell’appartamento è stata sequestrata una significativa partita di droga. Se non bastasse, ci sono anche le intercettazioni, dalle quali si apprende, dalla viva voce di A., a chi e quanto bisognava dare dei soldi raccolti col pizzo. Alba rifiuta l’accusa e si difende ribadendo di non aver mai saputo che il marito usasse quella casa a lei intestata per nascondere qualche partita di droga. Di certo non erano confidenze che il marito era solito farle. Sul pizzo vale lo stesso discorso. Quando ti dicono di fare una cosa, devi farla: non si aprono discussioni.

In un certo senso hanno ragione entrambi. Che questa giovane donna abbia disatteso la legge, come dice il pubblico ministero, è indubbio, ma vale la pena di soffermarci a riflettere su quello che dice Alba, al di là delle responsabilità penali che lei rifiuta. Qui ci interessa esaminare il concetto di libero arbitrio, del tutto sconosciuto alla ‘ndrangheta. Un codice comportamentale, un sistema pedagogico, che svuota il sensodell’Individualità” al fine di nutrire solo e sempre i “valori della Santa”. Le inchieste giudiziarie sono solo lo sfondo delle singole storie raccontate, l’obiettivo è esplorare soprattutto la cultura domestica della mafia calabrese di oggi. Cosa avviene fra le mura di una famiglia di ‘ndrangheta? Quali sono i rapporti e i valori di riferimento di un nucleo di consanguinei che, prima ancora di sentirsi famiglia sono un’associazione criminale?

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