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INDIA La mafia dell’acqua che sfrutta la sete

La mafia è ovunque e sfrutta qualsiasi situazione di emergenza e necessità. Ecco cosa succede in India dove la MAFIA DELL’ACQUA fa affari, grazie alla connivenza di politica e istituzioni, sfruttando la sete della povera gente. E mentre ogni giorno muoiono 500 bimbi indiani per la diarrea causata dalla contaminazione dell’acqua, vengono continuamente concessi permessi per grandi progetti immobiliari con l’assicurazione di un accesso privilegiato all’approvvigionamento idrico.

Questo può capitare ovunque si pensi a limitare l’uso di una risorsa come l’acqua o ad immaginarne la privatizzazione. Non bisogna mai dimenticare lo strapotere dei gruppi criminali disposti a piegare le necessità della popolazione per fare affari.

 

Fonte: Avvenire del 23.06.2019 di Stefano Vecchia

India, la mafia che sfrutta la sete
Gruppi criminali hanno creato un sistema di distribuzione parallela dell’acqua, lucrando sui disservizi

Nella «Grande Delhi», il 20 per cento dei cittadini non ha accesso alla rete idrica.

45% è la quota di acqua di Delhi che viene dispersa, rendendo impossibile l’accesso all’acqua per gli abitanti
20 euro è la cifra minima (il massimo è 40 euro) spesa dagli indiani per acquistare acqua dai fornitori illegali
Gli abitanti della metropoli si dibattono tra costi alle stelle e penuria costante

«Il mercato nero è enorme. I trafficanti costruiscono bacini sotterranei in orti e giardini, per appropriarsi della risorsa»

Un’altra pagina nera della storia indiana. E dello strapotere dei gruppi criminali piegano le necessità della popolazione per fare affari. Spesso con un consenso aperto o tacito delle autorità che a essi “delegano” in modo informale la gestione di servizi e iniziative pubbliche. II risultato? Nuovi complessi abitativi, alberghi e centri commerciali possono disporre a piacimento di risorse indispensabili. Come l’acqua. La gestione delle risorse idriche, in particolare nei maggiori centri urbani, alimenta un servizio di distribuzione parallelo ai danni di una parte consistente della popolazione, a partire da Delhi.

II territorio metropolitano che include la capitale su una superficie di quasi 1.500 chilometri quadrati e che accoglie quasi venti milioni di abitanti, si estende ormai ben oltre i confini tra il territorio federale di Delhi e gli Stati di Haryanae Uttar Pradesh. Complessivamente 500 sono i bimbi indiani che muoiono quotidianamente di diarrea causata dalla contaminazione dell’acqua. Gli abitanti della Regione della capitale centrale nazionale – unità amministrativa di recente istituzione – si avvicinano ai 30 milioni. E se opportunità e benefici sembrano ancora controbilanciarsi per la maggioranza dei residenti, il repentino passaggio, in questi giorni, dall’aridità al fango ha creato una serie di notevoli disagi.

«Arriva l’acqua» non è più da tempo il grido di gioia che echeggiava da un villaggio all’altro, da un quartiere all’altro, alla prima pioggia monsonica: una reazione gioiosa all’arrivo di una stagione rigogliosa dopo mesi di caldo torrido. Come per altre aree urbane, è ormai una costante nella “Grande Delhi” alternativamente soffocata dalla polvere e dall’inquinamento, o assediata dalle acque, comunque assetata. E infatti il grido per avvisare che è in arrivo la distribuzione illegale di acqua a “beneficio” di quel 20 per cento della cittadinanza che si stima non abbia accesso alla rete idrica. Nello scorso mese di maggio, segnato da temperature diurne spesso oltre i 40 gradi, la capitale ha visto un deficit idrico stimato in 1,1 miliardi di litri al giorno equivalenti al 25 per cento del suo fabbisogno. Alle necessità tutt’altro che “residuali”, ha provveduto un network illegale che addossa ai poveri il doppio fardello di una fornitura limitata e di un aggravio per molti problematico.

II costo di mille litri della preziosa risorsa a Sangam Vihar, quartiere pressoché invisibile alle autorità, perché sorto in modo illegale e già scavalcato dallo sviluppo urbano, va da sette a 13 euro. Senza alternative. Come ricorda, intervistato da Asia Today, un pasticciere che ha il suo commercio nel vicolo principale di quest’area depressa, «il mercato nero è enorme. I trafficanti d’acqua costruiscono bacini sotterranei in orti e giardini, recuperando l’acqua da pozzi o connettendosi alle pompe e alle cisterne della municipalità».

Resta sospeso e con poche possibilità di essere mantenuto, l’impegno preso nel 2015 dall’allora neoeletto premier del Territorio federale di Delhi, Arwind Kejriwal, di creare una rete idrica pubblica, di garantire acqua potabile gratuita a tutti i cittadini e di chiudere definitivamente la partita con la «mafia dell’acqua». I criminali, che conoscono molto bene i limiti della politica e della giustizia, sono sempre più baldanzosi, arrivando recentemente a sabotare tubature appena mese in opera dalle autorità. «La crescente dipendenza della popolazione da imprenditori informali è il risultato di una lunga inattività dei governi – ricorda l’ambientalista indiano Kanchi Kohli -. Mentre Delhi patisce la grave scarsità d’acqua, vengono continuamente concessi permessi per grandi progetti immobiliari con l’assicurazione di un accesso privilegiato all’approvvigionamento idrico».

Ventuno città senza «oro blu» L’India ha sete, ma le infrastrutture carenti fanno sì che l’acqua scarseggi ancor di più. Rapporti governativi indicano che le 21 principali città affronteranno una consistente penuria dal prossimo anno. Già ora oltre mezzo miliardo di indiani non può accedere a servizi igienici adeguati. Per la Banca Mondiale, il 21% delle malattie trasmissibili nel Paese sono legate alla mancanza d’acqua.

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