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Sulla Toscana l’ombra mafiosa da non ignorare

Quanto è difficile riconoscere che la mafia non è sempre quella degli altri, ma sta a casa nostra! E così anche in Toscana i segnali d’allarme ci sono tutti, ma si fa fatica a parlarne e ad affrontare il problema. Eppure numerose sono le inchieste che hanno dimostrato quanto piaccia ai boss ripulire i soldi in Arno.

Acquisto di ristoranti e immobili coi soldi della droga e Firenze diventa la capitale nazionale del riciclaggio. La DIA avverte: il problema va affrontato subito e va preso sul serio prima che il contagio si allarghi.

Fonte: La Repubblica Firenze del 27.10.2019 di Gianluca Di Feo

La mafia è sempre quella degli altri. Spesso non sappiamo riconoscerla, ma in molte occasioni non vogliamo aprire gli occhi. Ed è l’unione dei due fattori a rendere le nuove cosche insidiose e potenti. Anche in Toscana.

I segnali d’allarme ci sono tutti. Decine di inchieste hanno dimostrato quanto piaccia ai boss sciacquare i soldi in Arno. Non è un caso che Firenze abbia raggiunto nel 2018 il primato italiano delle denunce per riciclaggio. Basta guardarsi intorno; scorgere il proliferare di investimenti in ristoranti, pizzerie, bar, bedebreakfast; osservare la velocità con cui cambiano di mano licenze commerciali e immobili. Sono i settori che piacciono di più all’economia criminale, perché permettono rapidamente di trasformare il nero in profitto lecito. Operazioni gestite rispettando le regole ma alterando il mercato. Ai padrini contemporanei infatti i quattrini non mancano: il boom del traffico di droga li rende carichi di cash permettendogli offerte che raramente vengono rifiutate. Oggi si comportano come uomini d’affari, senza bisogno di minacciare o ostentare parentele “di rispetto”: per ottenere quello che voglio bastano le banconote.

Pochi si preoccupano dell’odore dei soldi, pochi si fanno domande sull’origine di quelle ricchezze. Ma una volta aperte le porte, l’effetto dei narcocapitali sull’economia è dirompente: impedisce la concorrenza e mette al tappeto gli imprenditori corretti. Il prossimo passo è prevedibile e sarà quello dell’usura. Ne vedrete gli effetti entro un paio di anni: il credito che le banche, in Toscana come altrove colpite da gravi crisi, elargiscono alle imprese con maggiore difficoltà verrà compensato dall’offerta dei businessman pronti a entrare in società. Stringendo accordi che non prevedono vie d’uscita, perché allora entrerà in campo la persuasione violenta.

Lo ha sottolineato pochi giorni fa il procuratore Giuseppe Creazzo: «La mafia in Toscana non ricorre a manifestazioni eclatanti ma acquisisce settori economici: ben vengano i controlli degli esercizi pubblici». Il protocollo voluto dal prefetto Laura Lega per potenziare la prevenzione è un passo importante: mette nel mirino le concessioni edilizie e i cambi di proprietà degli esercizi commerciali. Lo fa sensibilizzando e coinvolgendo le amministrazioni comunali, che in questa regione finora si sono mostrate di gran lunga meno permeabili alle infiltrazioni della criminalità organizzata. Basterà?

Di sicuro, ci sono categorie che possono dare un contributo fortissimo nel sbarrare la strada alla mafia imprenditrice: gli ordini professionali. Gli emissari di cosa nostra, camorra e `ndrangheta devono necessariamente rivolgersi a geometri, ingegneri, commercialisti, architetti attivi sul territorio: sono le figure indispensabili per concretizzare i loro investimenti, senza i quali non possono acquistare o ristrutturare i ristoranti né aprire nuovi cantieri. Quanto stanno facendo queste associazioni per rendere i propri iscritti consapevoli del rischio mafia? In che misura li stimolano a fare attenzione a tutti gli indicatori capaci di svelare una ricchezza sospetta?

Una società sana come quella toscana ha gli strumenti per respingere il contagio dei clan: dispone degli anticorpi per combattere l’infezione. A patto che l’intero organismo si mobiliti. Mentre se si pensa che tocchi solo alla magistratura e alle forze dell’ordine combattere il male, allora la battaglia è già persa.

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