Criptomafia
Storia della guerra digitale dichiarata dalle polizie di Usa ed Europa alle reti di comunicazione protette dei narcos e dei boss del crimine internazionale Con i lockdown è aumentata la richiesta di criptare le conversazioni e poter cancellare i dati in caso di sequestro. È la nuova sfida cyber degli investigatori.
Fonte: La Repubblica del 19.12.2021 di Carlo Bonini, Floriana Bulfon, Laura Pertici
C’ erano una volta i “pizzini”, messaggi affidati a calligrafie incerte e dai riferimenti anodini. E il loro mondo di antica cultura mafiosa. Quello che “la parola migliore è quella che non si dice”. Quantomeno non al telefono, non in ambienti chiusi. Ovunque qualcuno possa essere in ascolto. Poi, prima che li bucassero, fu la volta degli smartphone e dei loro servizi di messaggistica istantanea. Finché, a spalancare le porte dell’omertà digitale non sono arrivati i telefoni cellulari criptati. Impermeabili alle intercettazioni, hanno consegnato al numero crescente di boss che ne fa uso un vantaggio criminale competitivo che ha ridisegnato gerarchie, alleanze, quote di mercato nel traffico degli stupefacenti. Costringendo le polizie statunitensi ed europee ad uno sforzo di innovazione senza precedenti, che questa inchiesta racconta. Una guerra silenziosa e senza quartiere.
Imprendibili
Gli sbirri avevano lavorato duro per procurarsi il numero privato del boss. Non quello del cellulare di uso quotidiano che usava a tutte le ore per chiamare o chattare. L’altro, quello associato al telefonino che sfilava dalla giacca solo nei momenti delicati. Lo avevano ripreso con le telecamere nascoste, mentre digitava sulla tastiera di quel prezioso secondo cellulare con la concentrazione che meritano questioni importanti. Per arrivare sin lì, avevano stressato ogni possibile fonte e triangolato contatti. Fino a quando, finalmente, non erano riusciti a individuare l’utenza. Il giudice aveva autorizzato l’intercettazione, e tutto era pronto. Dopo mesi, si avvertiva l’adrenalina di essere arrivati a un passo dal chiudere la trappola. Ancora una volta, la telecamera spia aveva catturato il boss nell’estrarre il telefono, leggere un messaggio e rispondere. Sapevano che si trattava di stabilire modalità, tempi e luoghi di una consegna concordata di stupefacenti. Quei messaggi che il boss stava scambiando avrebbero chiuso la partita. Se solo la partita fosse stata quella che immaginavano. Le trascrizioni di quei messaggi non contengono una sola lettera. Solo chilometriche stringhe di numeri: “10*2*6*20*6*2*8*21*2*15* 9*20*16*7”. Un codice impossibile da penetrare. Una crittografia. Ora, non ha importanza sapere quando tutto questo è accaduto. Né quale lingua parlassero gli sbirri o il boss sfuggito alla cattura. Più importante è sapere che non si è trattato né di una prima, né di un’ultima volta. Perché, soprattutto negli ultimi cinque anni, quella sequenza, quella caccia svanita nell’ultimo miglio, si è ripetuta in ogni angolo del pianeta: dalla Colombia alla Sicilia, dai Paesi Bassi alla Calabria, dai Balcani all’Australia. I telefoni criptati avevano aperto una nuova stagione del crimine. Ne avevano modificato le abitudini. Riscritto le regole della latitanza, rendendola agevole. Su quei telefoni, impermeabili a qualsiasi tradizionale strumento di intercettazione, era possibile veicolare qualsiasi tipo di contenuto. Azzerato il rischio di ascolto, la trattativa a distanza diventava da eccezione, regola. E a sugellare un’alleanza, a chiudere un business tra organizzazioni criminali non era più la stretta di mano, la garanzia del corpo, ma lo scambio di telefoni criptati dedicati. L’innovazione modificava routine e assetti. Di tutti. Camorra, `ndrangheta, Cosa nostra, degli emergenti clan irlandesi, olandesi, bosniaci, cileni, albanesi, domenicani, colombiani, canadesi, britannici. Incardinato nella condivisione di identici strumenti, telefoni e sistemi di crittazione, il crimine da remoto diventava la nuova dimensione di ogni organizzazione degna di questo nome. In un contesto globale che convince le polizie di mezzo mondo a una mobilitazione altrettanto globale e collettiva.
Caccia al software
Era necessario impadronirsi del segreto di quei telefonini, senza che i boss se ne accorgessero. E, in qualche modo, la sfida cui erano chiamate le polizie di mezzo mondo ricordava Ultra, l’operazione lanciata dall’intelligence britannica per scardinare il codice delle trasmissioni naziste durante la seconda guerra mondiale. In quel tempo, i tedeschi utilizzavano macchine cifranti particolari – chiamate Enigma – per decrittare i messaggi. Ora, bastava uno smartphone. Per sconfiggere il Reich, Londra aveva arruolato il genio di Alan Turing e concepito il primo cervello elettronico della storia. Adesso, invece, nei comandi delle polizie ci sono stanzoni dove non si respira l’atmosfera immutabile di commissariati e caserme, quel misto di arredi squallidi, poster marziali alle pareti e scrivanie tanto logore quanto sommerse di fascicoli. Entrando in questi spazi sembra di cambiare mondo e anche la postura degli agenti è diversa. C’è un che di start up, come segnalano l’affollamento di computer portatili o fissi, l’abbigliamento casual degli agenti che tradisce un’attenzione a marchi meno prevedibili. Nessuna inchiesta, oggi, può fare a meno di questi detective che succhiano dati dalle memorie di cellulari e pc sequestrati, inoculano trojan per spiare le comunicazioni degli indagati o curano il funzionamento di cimici e microtelecamere. Un armamentario degno del Mister Q di James Bond diventato ordinario nei distretti statunitensi come nelle questure italiane. Oggi qualcuno ricorda che la battaglia cominciò con un ordine con un che di prosaico, ma chiaro nella sostanza: “Fottete quel codice!”. Obiettivo difficile, se non impossibile. Uno dei sistemi di crittatura usava cento numeri. Se ci fosse stata “una stele di Rosetta”, vale a dire la possibilità di confrontare il linguaggio cifrato con un testo noto, allora ci sarebbe stata una speranza di venirne a capo. Altrimenti bisognava mettersi al lavoro su una quantità di combinazioni superiori a quelle del SuperEnalotto: le estrazioni della Dea Bendata si basano su 90 numeri, quelle utilizzate dai programmi di crittatura in uso alle famiglie mafiose, fino a dieci in più. Per altro, il confronto tra i messaggi intercettati mostrava l’esistenza di due diverse generazioni di sistemi cifranti. Alcuni, più artigianali, erano stabili: c’erano gruppi di numeri ricorrenti, quindi il codice non veniva cambiato. Altri erano molto più evoluti: non c’erano similitudini con le sequenze del giorno prima o addirittura di poche ore prima. Questo voleva dire che il codice veniva automaticamente cambiato dopo un certo periodo di tempo. Del resto, i programmi erano e sono generati da software house di buon livello, spesso le stesse che riforniscono legalmente le strutture di security delle grandi aziende – dove i colloqui criptati servono a proteggere segreti industriali o manovre finanziarie – e persino gli apparati di intelligence.
Un software chiamato Anom
Il gioco, insomma, si era fatto duro. E per venirne a capo erano necessarie risorse di cui una sola agenzia investigativa al mondo poteva avere disponibilità: l’Fbi. Di fronte ai federali, la questione di come aggredire il sistema di criptazione si era tradotta in una scelta obbligata. Poiché non c’era modo di craccare il codice, non restava che impossessarsi della sorgente. Riescono così a risalire al produttore dei dispositivi di crittografia più complessi e più diffusi: la Phantom Secure, società guidata da Vincent Ramos. E il primo passo è semplice: Ramos è finito in cella. Tradito dall’eccesso di fiducia nella sua creatura, si è beccato una condanna a nove anni per favoreggiamento del narcotraffico, con la confisca di 80 milioni di dollari. La prova decisiva è stato un messaggio che aveva mandato a un collaboratore per vantarsi dell’accordo con il potente cartello messicano di Sinaloa: «Siamo ricchi da far schifo, amico, spero che lo apprezzerai… Prenditi quella fottuta Range Rover nuova di zecca. Perché ho appena concluso un bel po’ di affari. Questa settimana, amico. Sinaloa Cartel». Dopo avere congelato l’attività di progettazione della società di Ramos, l’Fbi arruola uno dei suoi ingegneri come fonte confidenziale. In cambio di una riduzione della pena e di un compenso di 180 mila dollari, dovrà sviluppare un nuovo sistema criptato battezzato Anom. Il nuovo software viene promosso secondo le regole del mercato poi, nell’ottobre 2018, viene offerto a tre distributori di Phantom Secure, rimasti a corto di prodotti da vendere.
Operazione “Trojan Shield”
L’operazione Trojan Shield – così è stata battezzata l’operazione sotto copertura tra i due continenti, Stati Uniti e Australia – assiste silenziosamente alla diffusione di Anom prima tra la criminalità australiana e quindi nel resto del mondo. In due anni dal lancio, i telefonini con questo software finiscono nelle mani di boss e colletti bianchi in Germania, Olanda, Spagna, Serbia, Italia, dove in 270 utilizzano il sistema, convinti di essere al riparo di qualsiasi intrusione. Il software Anom, al contrario, nel suo ruolo di doppiogiochista telematico, tre volte alla settimana copia tutti i dati trasmessi dai suoi utenti eh invia automaticamente al Fbi. È un tesoro di informazioni sui santuari del crimine mafioso (e non). Parliamo di venti milioni di messaggi scambiati da 11.800 telefonini in più di novanta paesi. Che illumina all’improvviso il cono d’ombra in cui si nascondono e comunicano 300 organizzazioni criminali. Qualche esempio. Il 23 marzo 2020, l’utente del JID 58f4a9 – identificato attraverso Anom come Baris Tukel – chiede all’utente del JID cfdfBa – identificato come Shane Geoffrey May – qual è il prezzo della cocaina in quel momento. May risponde: “Intorno ai 200 mila dollari” e domanda a Tukel se ha qualche notizia. Subito la replica: “Ok dolcezza, ho un piccolo lavoro che è saltato fuori… Ci sono 2 kg messi dentro buste diplomatiche francesi sigillate da Bogotà… Hanno già ricevuto alcuni pacchetti”. Tukel aggiunge: “L’unico problema è che COL prende 50/4. I partner, compreso te, dovranno dividere gli altri 50”. Cosa significa? I broker colombiani si tengono il 50 per cento dei profitti, le altre quattro persone dovranno spartirsi il resto. Tukel conclude: “Possono farlo settimanalmente”. E invia tre foto: due mostrano le buste diplomatiche francesi sigillate e una la coca pronta ad essere spedita. È un vaso di pandora che si apre davanti agli occhi dei federali.
L’offensiva europea
Nell’estate del 2020, i detective americani sotto copertura sono travolti dall’improvviso boom delle richieste di Anom. Poi, nel marzo 2021 un’altra impennata: gli utenti attivi triplicano, passando da tre a novemila. E la spiegazione è semplice. Anche le polizie europee sono entrate in azione, smantellando un provider di telefonia criptata. E come già era accaduto per gli utenti di Phantom, l’improvvisa scarsità dell’offerta convince chi è rimasto orfano del suo precedente sistema di criptatura a ricorrere ad Anom. Accade così che la trappola del Fbi diventa una pesca a strascico su scala mondiale. Nella cui rete finiscono per rimanere impigliati anche i boss più diffidenti. Traditi dalla convinzione che, a differenza delle mafie, le polizie non riescano a muoversi rapidamente e collettivamente fuori dai confini nazionali. Certo, arrivare al risultato non è stato semplice. Gli inquirenti francesi si sono messi al lavoro nel 2017, quando hanno cominciato sempre più spesso a sbattere la testa contro messaggi indecifrabili. C’è voluto però più di un anno per la svolta. Ci sono voluti alcuni server a Lille, la metropoli del Nord non lontana dal Belgio, dove transitano le comunicazioni top secret. Il procuratore locale si affida alla Gendarmerie e forma un pool di sessanta persone: sono i protagonisti dell’operazione Emma. Si capisce subito che per vincere bisogna allargare la squadra e stabilire legami con tutte le altre indagini in corso in Europa, mettendo in campo il coordinamento tra polizie di Europol e quello tra magistrature di Eurojust. Ma soprattutto ci vogliono incursori telematici all’altezza degli ingegneri assoldati dai clan: l’unità cybercrime del governo olandese. Il bersaglio principale di questa offensiva europea si chiama “Encro
Chat”, azienda che vende telefonini con hardware e software modificati per blindare sia le comunicazioni che gli apparati, in maniera da rendere inutile pure i tentativi di estrapolarne dati. Una vera fortezza, assediata per mesi dall’asse franco-olandese, finché, tra aprile e giugno 2020, un assalto di malware ai server di EncroChat non consente alla polizia di copiare i messaggi prima che vengano cifrati. I custodi di EncroChat capiscono che qualcosa sta andando storto, tentano di arginare l’attacco, ma alla fine capitolano. Con un messaggio ai loro clienti: “Non siamo più in grado di garantire la sicurezza del dispositivo, eliminatelo!”. Troppo tardi. L’operazione Emma aveva già intercettato cento milioni di messaggi trasmessi da oltre 50 mila utenti. C’è un altro dispositivo di criptazione che va a gonfie vele. Si chiama “Sky ECC”. È stato sviluppato dalla compagnia canadese Sky Global che lo reclamizza come il sistema più sicuro al mondo per comunicare e restare anonimi. Al punto tale da offrire cinque milioni di dollari a chiunque riesca a violare il codice. Il Dipartimento di Giustizia statunitense li affronta aggredendo il vertice societario: incrimina l’amministratore delegato e il responsabile delle distribuzione “per aver consapevolmente e intenzionalmente partecipato a un’attività criminale che ha facilitato l’importazione transnazionale e la distribuzione di narcotici”. Quando nel marzo 2021 anche Sky ECC viene colpito, le autorità scoprono che erano sin lì stati venduti 170 mila dispositivi sui mercati internazionali: un quarto veniva utilizzato nei Paesi Bassi, la nuova terra promessa del commercio di cocaina.
La trappola globale
Tutti gli utenti di Phantom, EncroChat, Sky ECC e infine di Anom si sono resi conto più o meno velocemente che il loro sacrario era stato violato. Si sono liberati degli apparecchi e ne hanno cercati di nuovi in modo da riattivare le loro comunicazioni protette. Non fosse altro perché lo smantellamento dei server di messaggeria crittata aveva coinciso con il momento di picco della pandemia e dunque con l’urgenza di comunicare a distanza. E tuttavia, nessuno dei boss aveva compreso ciò che realmente era accaduto. Che migliaia dei loro messaggi erano già stati catturati da una mastodontica macchina investigativa messa in piedi da polizie e magistratura di mezzo mondo. «L’uso di queste tecnologie ha comportato criticità per le attività d’indagine – spiega Massimiliano D’Angelantonio, comandante del II reparto del Ros dei carabinieri – che sono state superate grazie ad azioni coordinate in ambito europeo e non solo. In questo modo, un punto di debolezza, per chi è chiamato a contrastare la criminalità organizzata, è diventato un punto di forza: la decriptazione delle comunicazioni ha permesso di acquisire molte informazioni sulle modalità di gestione di numerose attività delittuose, sui trend evolutivi e sulla mobilità della criminalità organizzata, nonché sulle sinergie operative messe in campo». Una mole così grande e così dettagliata di informazioni non era mai stata raccolta prima. E la loro gestione rappresentava per questo una nuova frontiera per le autorità giudiziarie. Con questioni inesplorate sulla competenza dei singoli Stati e delle singole Procure, sull’utilizzabilità dei dati informatici nei procedimenti e soprattutto sulla maniera di trasformarli in prove legalmente valide a sostegno di arresti e condanne. I dati catturati dall’Fbi attraverso Anom non potevano fare ingresso nei processi europei. Nel progettare e mettere a disposizione un nuovo sistema criptato da utilizzare come trappola, i federali infatti si erano mossi come “agenti provocatori”, condizione che le legislazioni del vecchio continente o vietano, o, al più, limitano ad alcuni reati specifici. In Europa, quindi, quei messaggi intercettati sono stati retrocessi da potenziali prove, in notizie di intelligence. Inutili per istruire un processo, ma fondamentali perla cattura di latitanti di lungo corso. È così che è stato localizzato Rocco Morabito, comodamente alloggiato in un albergo di Joao Pessoa, capitale dello stato di Paraiba, nel nord-est del Brasile. U Tamunga – soprannome che si è guadagnato perché amava scorrazzare nella Locride con un fuoristrada militare – viene ritenuto il mediatore più importante per i carichi di coca dal Sud America e deve scontare 30 anni per narcotraffico. Due anni fa era stato bloccato in Uruguay e si era a un passo dalla sua estradizione in Italia, ma il 24 giugno 2019 era scappato dalla terrazza del carcere Central di Montevideo. I nostri investigatori non credono che i grandi padrini come Matteo Messina Denaro usino i telefonini criptati. Ma i controlli sulle comunicazioni cifrate possono comunque fare luce sui loro fiancheggiatori e restringere la mappa delle ricerche. Fortunato Stassi, per dire, è stato fermato a luglio in Spagna grazie alle chat violate di EncroChat e Sky ECC. Accusato di traffico internazionale di droga, in passato era molto vicino all’imprendibile capo di Cosa Nostra. Diversa invece la sorte dei materiali raccolti dal pool franco-olandese, che sin dall’inizio si era mosso sotto l’ombrello di Eurojust. Le intercettazioni di EncroChat sono state divise dalla procura di Lille e da quella generale di Parigi in “pacchetti paese”, con i messaggi che potevano interessare una determinata nazione, e poi consegnate attraverso i canali di Europol, la struttura Ue che custodisce pure l’intero database sottratto a Sky ECC. Uno schema a cascata, con una pioggia di messaggi rovesciata sui tavoli delle varie unità di polizia. 11 database consente di leggere vicende oscure e raggelanti. Come la storia che si consuma il 24 maggio 2020, quando il nickname “Alk-socio” scrive un messaggio cifrato a “Varano” e “Gringo”: il prossimo 3 giugno finirà il lockdown ed è quindi urgente far eseguire “il lavoro in montagna”. Di cosa si tratta? Uccidere un pentito di `ndrangheta, un ex affiliato della cosca Crea nascosto a Canale D’Agordo nei monti del Bellunese. Non è un bersaglio facile, si teme che sia protetto. I killer sono professionisti: a Natale 2018, a Pesaro, hanno già ammazzato il fratello di un altro collaboratore di giustizia. Nell’inverno precedente, avevano compiuto sopralluoghi nel borgo alpino ma a fermarli era stato il lockdown imposto dalla pandemia. In quel maggio 2020, possono dunque tornare in azione. In chat, presentano due ipotesi al committente: 50 mila per “il giocattolo”, ossia una bomba piazzata sotto l’auto, oppure 150 mila per “gli scavatori”, cioè pistole silenziate che espongono a rischi maggiori. Viene scelto l’uso dell’ordigno, con l’attentato subappaltato a una terza persona. A sventare il piano sono anche le informazioni del solito Sky ECC. Nell’aprile 2019, i due sicari erano stati sottoposti a un controllo stradale in Trentino: entrambi avevano cellulari dotati del sistema cifrato. I carabinieri avevano annotato tutte le informazioni, che incrociate con la centrale europea si sarebbero trasformate in indizi determinanti.
Uno tsunami
La violazione dei codici di criptatura è stato uno tsunami. Che continua ad alimentare nuove ondate di mandati di cattura internazionali. Qualche esempio. Nel 2020, in Gran Bretagna scatta l’operazione Venetic: 746 arresti; 54 milioni di sterline cash sequestrate, insieme a due tonnellate di droga tra eroina, cocaina, ecstasy, Lsd e 28 milioni di pillole. Nel maggio 2021, è la volta dell’operazione Platinum, condotta tra Italia, Germania, Spagna e Romania contro la `ndrangheta. Qui le dichiarazioni di un “pentito” della famiglia Agresta-Marando, attiva tra Piemonte e Lombardia, vengono integrate con messaggi catturati nelle chat sia di EncroChat che di Sky ECC. Il clan usa entrambi, con una preferenza per questi ultimi: “Sono i più seri, i migliori!”. Valter Cesare Marvelli si procura i dispositivi e li distribuisce a tutti i riferenti della cosca, anche ai Giorgi di San Luca, un nome di peso nella capitale delle ndrine. Su quei canali poi trattano coca un po’ ovunque: produzione colombiana, spedizione dall’Ecuador, sbarco in Olanda. Tutto raccontato dalle chat di “Pollice”, “Pace”, “Cinghia”, “Alfio”. Qualche volta sono in difficoltà nel far funzionare gli smartphone e la figlia di un padrino calabrese chiama Marvelli. Per averne questa risposta: “Spegni e riavvia”. Poi, gli spiega come inserire la password: è composta dal nome di due paesi – “Il tuo e quello dove è lui, tutto minuscolo” – più una sequenza di numeri. II clan Giorgi è entusiasta del sistema, per il quale paga un abbonamento di 1400 sterline a semestre. Le conversazioni decifrate da Europol li mettono al tappeto, rivelandosi determinati per farne arrestare 37 mentre altri 65 finiscono sotto inchiesta. Pochi giorni fa, invece, sono entrati in azione i belgi, smantellando la filiera che aveva trasformato il porto di Anversa nel terminal atlantico della cocaina: ci sono state centinaia di perquisizioni simultanee, con dozzine di persone finite in manette.
I Paesi caduti in basso
È tuttavia l’Olanda il Paese dove la violazione delle chat criptate ha avuto le conseguenze più dirompenti: l’intera nazione ha scoperto di essere diventata un “narco-stato”. Con un doppio primato: nell’import di cocaina e nella fabbricazione di pasticche. Le intercettazioni cibernetiche hanno permesso infatti di rileggere un’escalation omicida che stava insanguinando il Paese. I testi sono espliciti: “Questo possiamo farlo fuori, paghiamo subito”, con a seguire le istruzioni per il killer. Oppure: “Facciamo dormire questo cancro di Plooij”, il procuratore Koos Plooij. O ancora, la minaccia a un collaboratore di giustizia: “Farò dormire tutti quelli legati a lui se dice il mio nome”. Attraverso milioni di messaggi scambiati sui dispositivi criptati si è consumata l’epifania di un sistema spietato: al centro i porti di Rotterdam e Anversa, due dei principali snodi per l’arrivo della cocaina che avvelena l’Europa. E un nome: Ridouan Taghi. È l’esponente più noto della “Mocro maffia”, l’ultima creatura nell’atlante delle mafie: bande figlie della seconda generazione di immigrati maghrebini. Taghi è diventato il leader di questi delinquenti di strada, rendendoli una falange che con violenza e corruzione si è impossessata degli scali di container più importanti del mondo. Il padrino si era trasferito lontano dal campo di battaglia, guidando i suoi ragazzini a mano armata grazie ai telefoni, criptati mentre sorseggiava cocktail negli hotel degli Emirati. Un capo che imbastiva affari, alleanze, e spazzava via chiunque gli si opponesse. In cima alla lista Nabil Bakkali, un suo ex sodale che ora sta collaborando con i giudici. Gli ammazzano prima il fratello, poi l’avvocato, Derk Wiersum, e infine Peter R. de Vries, un reporter televisivo popolarissimo che aveva portato sugli schermi la sua vicenda. E ancora: seguendo i messaggi su EncroChat di “Luxury Balloon” – il narcotrafficante Roger Pieterson aka Net Costa – i poliziotti hanno scoperto nei boschi sul confine belga una serie di camere di tortura, usate dal clan per seviziare rivali e traditori. Un romanzo criminale che è diventato un’emergenza nazionale al punto da consigliare di mettere sotto scorta il premier Mark Rutte. Taghi ora è stato estradato, incastrato anche lui dalle chat telefoniche che credeva sicure, ma l’istruttoria su di lui ha svelato mode e modi del nuovo gotha del crimine emigrato a Dubai e riunito in una innovativa federazione. Una rete fluida che ignora confini nazionali o barriere etniche. Che usa comunicazioni hi-tech e strumenti finanziari d’avanguardia, continuando pero a cementare le alleanze nei banchetti nuziali come la vecchia Cosa nostra. Quando nel maggio 2017 il rampollo del clan irlandese dei Kinahan decide infatti di convolare a nozze, non ha dubbi sulla location: sceglie la più esclusiva, l’hotel Bud al Arab di Dubai. E gli invitati non devono essere da meno. Ci sono boss olandesi, padrini bosniaci, narcos sudamericani. Il matrimonio è stata l’occasione per rinsaldare i vincoli di un super cartello capace di dominare le due coste dell’Oceano Atlantico: la criminalità del futuro, proiettata in una scala globale mai vista prima. Che ignorava pert. di essere finita nel mirino degli agenti della Dea, la US Drug Enforcement Administration.
Imperiale o dell’evoluzione della specie
A quel ricevimento non poteva mancare un rappresentante italiano: Raffaele Imperiale, considerato il re dei broker di cocaina. Lui è il campione della nuova generazione di trafficanti, partiti dai bassifondi della Camorra per ritrovarsi ai piani alti della criminalità internazionale. Originario di Castellamare di Stabia, Imperiale inizia la sua scalata quando arriva ad Amsterdam alla fine degli anni Novanta per gestire un coffee shop e quindi un ristorante lodato dai critici culinari. Lì capisce che può intavolare affari molto più redditizi: stringe legami coni produttori olandesi e inizia a scaricare sulle piazze di Napoli centinaia di migliaia di pasticche di ecstasy. E l’uomo giusto nel posto giusto. Si allarga ai narcos sudamericani e apre una nuova rotta atlantica perla cocaina, arbitrando con le sue forniture la terribile guerra di Scampia che ha ispirato “Gomorra”. Il suo referente infatti è il clan Amato-Pagano, gli Scissionisti insorti contro la famiglia Di Lauro per il controllo delle piazze di spaccio più ricche. È Imperiale – secondo le accuse – che gli fa arrivare la materia prima perla vittoria: droga e armi. Sul sangue di quella battaglia che miete sicari e innocenti, innalza una rete globale che importa tonnellate di droga, cominciando a investire in Spagna e Inghilterra, presentandosi come uno dalle “eccellenti referenze bancarie in tutto il mondo”. Pensa in grande: ingaggia archistar come Zaha Hadid per i suoi progetti immobiliari di lusso e arriva al punto di studiare anche il modo di rilevare il Napoli Calcio. Proprio i telefoni criptati gli offrono l’opportunità di stabilirsi lontano dall’Europa, azzerando il rischio di arresti. Si trasferisce negli Emirati, dove fino a poco fa non c’erano accordi di estradizione, mantenendo attive tutte le relazioni criminali grazie alle chat. Con il superboss olandese Taghi e con Richard Riquelme Vega – definito a Santiago il “cileno più pericoloso del mondo” – discute in codice di coca “di buona qualità”. Scrive il 12 aprile 2016, in inglese: “Ok hermano, se vuoi posso vedere”. E Riquelme chiede: “Dove dobbiamo portarla?” Imperiale ha la risposta pronta: “Amsterdam hermano”. Stando alle accuse, nelle sue chat ci sono conversazioni anche sull’eliminazione dei rivali e tracce di un’operazione di livello superiore. Acquista sul mercato nero due capolavori di Van Gogh rubati dal museo di Amsterdam: sono quadri cui danno la caccia le polizie di tutto il mondo, impossibili da rivendere nelle case d’aste. Ma lui riesce comunque a farli fruttare: ne permette il recupero in un casale della campagna vesuviana, accreditandosi come collaboratore e ottenendo così uno sconto di pena dai giudici italiani, che riduce al minimo i suoi conti in sospeso con la giustizia. Il pentito Gennaro Carra però fornisce alla Procura di Napoli la chiave per smantellare il suo dominio: “Usa telefoni sofisticati con un sistema di origine russa”. Il broker li consegna a tutti i suoi affiliati, con cui è in costante contatto dagli Emirati. Non sa che il segreto delle sue conversazioni è stato penetrato dai detective europei, permettendo ai pm diretti da Giovanni Melillo di farlo arrestare a Dubai nello scorso agosto.
“Er Tavoletta” e la startup Diabolik
«Negli ultimi cinque anni, soprattutto tra i narcotrafficanti di medio-alto spessore, si è assistito ad uno smisurato utilizzo dei cellulari che si avvalgono di queste tecnologie, utilizzando di volta in volta svariate aziende fornitrici di smartphone criptati» spiega Daniele Tino, il comandante della Guardia di Finanza di Catanzaro che è riuscito a debellare un clan calabrese di Rosarno che utilizzava per comunicare un sistema di corrispondenza tra numeri e lettere. Oltre alle aziende internazionali di cui abbiamo parlato, sul mercato si sono affacciati altri fornitori: start up di livello tecnologico non sempre elevatissimo, come nel caso dei dispositivi tedeschi usati dai boss della `ndrangheta rosarnese. In un caso, c’è stata un’iniziativa “a chilometro zero”, con una coppia di malviventi che gestiva direttamente la fornitura degli apparecchi: i fratelli James e Barry Gillespie. Ricercati in Scozia per omicidio dal 2019, hanno assunto uno sviluppatore e creato il loro software su misura, modificando un modello di smartphone molto diffuso. Sarebbero riusciti a venderne 5 mila, a un prezzo tutto sommato contenuto: 1700 sterline più 700 di abbonamento semestrale. Anche nella Roma dei clan c’era un asso dei telefoni sicuri: Alessandro Telich, detto Er Tavoletta. Aveva messo su una società sempre con sede negli Emirati Arabi – la Imperiale Eagle – e magnificava la bontà della sua merce: “La nostra piattaforma è stata progettata per impedire qualsiasi tentativo di hacking o lettura da terze parti. Le comunicazioni non sono decriptabili, se non dal destinatario; nessun tabulato; nessuna restrizione territoriale, potrai comunicare liberamente in sicurezza da qualsiasi parte del mondo”. L’oggetto del desiderio di ogni narcos. Marco Sorrentino, comandante del Gico – il reparto antimafia delle Fiamme Gialle – della capitale si è imbattuto in questa rete durante l’inchiesta su Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik: il capo degli ultras laziali – quelli appunto con l’aquila imperiale, come il nome della società emiratina – diventato protagonista dei traffici di droga e assassinato sulla panchina di un parco. «La figura di Telich è emersa solo grazie ai sistemi di intercettazione ambientale che abbiamo attivato nelle vetture e nelle case degli indagati. Con la sua società estera, era in grado di fornire un servizio completo: garantire comunicazioni criptate, rendere disponibili sistemi di disturbatori di frequenze per oscurare le microspie ed effettuare bonifiche». Gli smartphone costavano dai 1.700 ai 2.400 euro, più il contratto di abbonamento: 1.200 euro l’anno. C’era pure “un’offerta clan” che prevedeva 21mila euro per 25 utenti. Tra i suoi clienti non c’erano solo Diabolik e le bande romane: «In occasione dell’arresto in Grecia di un latitante collegato alla Sacra Corona Unita, Telich venne incaricato di azzerare immediatamente da remoto il cellulare in uso al soggetto al momento della cattura». Un ottimo paracadute: anche se l’apparato è già nelle mani della polizia, basta contattare “l’Aquila Imperiale” per fare tabula rasa prima che venga esaminato. Un cancellino digitale senza confini, di rara efficacia. Er Tavoletta è in cella da mesi. Ma il suo business non si è fermato: «Tanto i sistemi di telefonia quanto i servizi offerti dalla sua società a Dubai risultano ancora commercializzati quantomeno on-line e perfettamente attivi. Di conseguenza, la sua azienda è pienamente operativa», conclude l’ufficiale. I detective del Gico non sono riusciti a scoprire chi siano i soci che portano avanti l’attività: «È possibile desumere che il numero di account criptati in circolazione sia considerevole all’interno del territorio nazionale e non solo». Insomma, la sfida continua. E la criptomafia si evolve, allargando e allungando i suoi tentacoli digitali. Nel nostro Paese c’erano 2.500 utenti di EncroChat che, con Sky ECC, sono poi diventati 9.500. Ma oggi sul mercato è legalmente venduta un’altra generazione di telefonini cifrati. Dispositivi come Cypher, Ghost e No.1 BC. Non è difficile immaginare che molti siano già finiti nelle mani sbagliate.